La pensione come sicurezza, certo. Ma prima di arrivarci i versamenti sono stati cospicui. E’ davvero convenuto?
Decine di anni trascorsi al lavoro e molto del nostro stipendio, non meno del 30 – 33%, se ne va in contributi. Un taglio che pesa e impedisce alla nostra retribuzione di darci quel pieno sostegno che nell’immediato vorremmo avere.
Ma c’è una logica. Perché è un sacrificio – importante – con un ritorno economico, e sociale, che si traduce in sicurezza, rappresentata dalla rendita che quel versamento – i contributi previdenziali – di mese in mese produce e che farà da scudo agli anni della nostra vecchiaia. Si tratta dunque di un investimento per quanto imposto, almeno in parte. Quanto corrisposto dal lavoratore torna indietro con la pensione.
Il problema, semmai è se il rapporto tra quanto versato ed il beneficio che ne deriva è proporzionale. Valutazioni sommarie – perché ogni storia è a parte – ci dicono che servono dai 17 ai 23 anni di pensione per recuperare i contributi versati. Un conteggio esatto non è possibile, perché troppe sono le variabili che determinano il rapporto tra contributi versati e pensione.
Tra queste bisogna considerare gli anni di contributi maturati e l’età del pensionamento. Ipotizziamo, ad esempio, qualcuno che ha iniziato a versare dal gennaio del 1996. Il 9,19% sarà a suo carico, la parte restante compete all’azienda.
I contributi versati dal lavoratore nel corso degli anni creano il montante contributivo, rivalutati in base al costo della vita. Il coefficiente di trasformazione elabora stipendi e anni di lavoro per definire la nostra pensione. Scrive l’Inps che ai fini del calcolo si deve: individuare la retribuzione complessiva per ogni anni; calcolarne i contributi di ogni anno – per esempio quella del 33% per i dipendenti.
Dopo si dovrà determinare il montante individuale che si ottiene sommando i contributi, debitamente rivalutati sui dati ISTAT; infine applicare alla somma ottenuta il coefficiente di trasformazione, che varia in funzione dell’età del lavoratore al momento della pensione.
Con tanti anni di contributi non si avrà necessariamente diritto ad una pensione cospicua. Conta – e molto – il peso della retribuzione. Se nei primi anni si è percepito uno stipendio basso rispetto a quello degli ultimi anni si avrà un assegno pensionistico più esiguo dell’ultimo stipendio.
Si può evitare l’inconveniente rimandando di il pensionamento, ottenendo un coefficiente di trasformazione: più elevato, in quanto più tardi si va in pensione, maggiore sarà l’assegno e di conseguenza prima si potranno recuperare i soldi versati con i contributi
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